In questo studio, pubblicato nel 2016 sula rivista Nutrients, si indagano i risvolti in termini di carenza vitaminica di B12 in caso di dieta vegetariana.

Recentemente la popolarità del vegetarianesimo è cresciuta per ragioni etiche, ecologiche e salutistiche.

La letteratura scientifica mostra che la riduzione o la totale esclusione di cibi animali potrebbe ridurre il rischio di malattie coronariche e di diabete di tipo 2, attraverso fattori modificabili, quali il peso corporeo, la glicemia, la pressione sanguigna e la lipidemia.

Tuttavia non dovrebbe essere sottovalutata la possibilità che una dieta vegetariana sbilanciata possa portare a carenze nutrizionali, vanificando i benefici per la salute. In particolare, la vitamina B12 o cobalamina è una vitamina idrosolubile che si trova solo negli alimenti di origine animale e se il consumo di questi cibi è assente o irrisorio, diventano necessari l’integrazione o l’uso di alimenti fortificati. Essa è presente in alcune alghe, funghi e alimenti vegetali fermentati, tuttavia gli studi sono ancora insufficienti per valutare se questi alimenti possano compensare il mancato apporto in una dieta vegetariana.

Ridotte concentrazioni di cobalamina nel sangue possono provocare disturbi ematologici, come l’anemia, e alterazione al sistema nervoso.

Gli integratori si sono rivelati efficaci nel ristabilire la concentrazione di vitamina B12 nel sangue, tuttavia allo stato attuale non vi è alcun consenso internazionale sulle dosi della supplementazione necessaria. Secondo Carmel, una singola dose orale di 50, 500 o 1000 microgrammi viene assorbita per quantità rispettive di 1,5, 9,7 e 13 microgrammi. Per soddisfare il fabbisogno giornaliero, una dose orale di 50-100 microgrammi, potrebbe essere sufficiente a raggiungere le esigenze di 2,4 microgrammi al giorno in adulti vegetariani sani.

In caso di patologie o di età avanzata, queste quantità potrebbero non essere sufficienti, a causa di ipocloridria secondaria a farmaci o all’alterazione fisiologica della stessa mucosa gastrointestinale.

La cianocobalamina è la forma storicamente più utilizzata ed è sicura per un utilizzo quotidiano. Non ci sono differenze sostanziali apparenti fra l’assorbimento della forma sublinguale e di quella orale.

Fonte:

www.mdpi.com/2072-6643/8/12/767

L’obesità materna rappresenta un fattore di rischio indipendente per definire la gravidanza come “a rischio” per definizione.

Per questo motivo sarebbe opportuno poter intervenire con una consulenza nutrizionale pregravidica, incoraggiando un cambiamento di abitudini alimentari e di attività fisica, così da non superare un BMI di 25 (condizione di sovrappeso) o di 30 (condizione di obesità).

L’obesità materna è un fattore di rischio per:

ipertensione

diabete gestazionale

pre-eclampsia

parto cesareo

parto pretermine

aborto precoce

macrosomia fetale

spina bifida

malformazioni fetali minori.

L’approccio dietetico prevede che:

– la madre aumenti il meno possibile, limitandosi anche solo a 5 kg

– la dieta sia normocalorica rispetto al peso pregravidico, così da fornire ugualmente tutti i nutrienti alla madre e al nascituro.

L’ideale sarebbe iniziare un percorso dietetico prima di intraprendere la gravidanza, così da assicurare migliori condizioni di salute per la mamma e figlio.

Fonte:

Alimentazione materna e fabbisogno di nutrienti in gravidanza e allattamento – Nutrition Foundation of Itay

La stipsi può essere un fattore predisponente all’insorgere di cistiti batteriche.

Per questo motivo è consigliabile mantenere una buona regolarità intestinale, tramite una regolare attività fisica, un buon apporto di fibre, assunzione di almeno 2L di acqua al giorno e un buon introito di grassi.

Fra le integrazioni le più utilizzate sono:

vitamina C che inibisce la crescita dei batteri E. coli;

cranberry del nord America che contiene D-mannosio e protoantocianidina A, con potere inibitorio sull’adesione dei batteri alla parete vaginale;

bromelina che potenzia l’azione del cranberry e degli antibiotici a largo spettro come la amoxicillina, ha azione proteolitica e antinfiammatoria;

D-mannosio che non consente che E.coli aderisca alla mucosa vaginale (anche se alcune cistiti sono D-mannosio resistenti e potrebbe causare diarrea). Si usa sia come prevenzione sia durante l’infezione;

aglio ed estratto di semi di pompelmo che hanno azione disinfettante.

Le cistiti meno gravi si risolvono spontaneamente aumentando la quota di acqua assunta.

Fonte:

O’Brien, V. P., Dorsey, D. A., Hannan, T. J., & Hultgren, S. J. (2018). Host restriction of Escherichia coli recurrent urinary tract infection occurs in a bacterial strain-specific manner. PLOS Pathogens, 14(12), e1007457.

Si tratta di una condizione endocrina che causa uno SQUILIBRIO IPER-ANDROGENICO. È associata a disordini metabolici e disfunzioni riproduttive.

Fra le MANIFESTAZIONI CLINICHE si possono avere:

segni di iperandrogenismo (acne, irsutismo, tendenza alla virilizzazione, tendenza ad accumulare grasso viscerale, alta risposta ormonale all’allenamento di ipertrofia, aumento della peluria);

cicli irregolari (molto lunghi o anovulatori);

condizione di sovrappeso/obesità/normopeso con grasso a livello addominale;

problemi di fertilità.

Fra le CONSEGUENZE METABOLICHE possiamo trovare:

insulino-resistenza di gradi differenti;

sindrome metabolica con maggior rischio di aterosclerosi e malattia coronarica;

in caso di obesità associata, maggior prevalenza di diabete di tipo 2, maggior prevalenza di irsutismo, peggior profilo lipidico, maggior prevalenza oligomenorrea, amenorrea, infertilità, PMA con maggior rischio di esito infausto.

Una delle conseguenze più importanti da contrastare è l’insulino-resistenza che porta ad alterazioni del metabolismo di grassi e zuccheri e all’aumento di peso con accumulo di grasso a livello addominale.

Tramite la dietoterapia si può intervenire per contrastare l’insulino resistenza:

  • Ad ogni pasto (colazione pranzo e cena) abbinare le fonti di carboidrati a fonti di grassi e/o proteine per avere una minor secrezione insulinica e un maggior senso di sazietà.
  • Attuare un corretto timing dei pasti: colazione fra le 6.00 e le 9.00, pranzo fra le 12.00 e le 15.00, cena fra le 18.00 e le 21.00 (con ciascun orario di consumo da collegare al precedente).
  • Scegliere fonti di carboidrati a basso carico glicemico, evitando tutti gli alimenti fatti con farine raffinate (pasta, prodotti da forno, pane non integrali).
  • Ridurre/eliminare i latticini (latte, yogurt, formaggi, burro, panna), per elevato carico insulinemico, specialmente in caso di acne.

Fonte:

Z Fagfoori, S Fazelian, M Sadnoush, R Goodarzi – Nutritional management in women withh polycystic ovary syndrome: a review study – Diabetes Metab Syndr 2017 Nov;11

La sensibilità al glutine non celiaca (SGNC) è una sindrome causata dalla reazione avversa al glutine che si manifesta sul quadro clinico con sintomi intestinali ed extraintestinali; tali sintomi migliorano dopo dieta aglutinata, ma si ripresentano con l’introduzione del glutine.

Prerequisito fondamentale per sospettare la SGNC è l’esclusione della diagnosi sia di celiachia che di allergia al grano. La SGNC rientra nell’ambito delle sindromi funzionali gastrointestinali con ipersensibilità alimentare, che riconoscono in alcuni nutrienti i principali agenti eziologici in grado di evocare la sintomatologia tramite vari meccanismi patogenici  che agiscono su: permeabilità intestinale, microbiota, cellule dendritiche, degranulazione dei mastociti e asse intestino-cervello.

Nonostante il fatto che l’esistenza della SGNC sia stata riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, l’assenza di biomarkers ne rende problematica la diagnosi, che rimane affidata a criteri clinici presuntivi e di esclusione di altra patologia glutine-correlata (celiachia e allergia al grano).

La ricerca scientifica sta studiando per individuare dei criteri diagnostici precisi, così da attuare restrizioni dietetiche quando davvero necessario. Sebbene manchino dei ancora biomarkers applicabili nella pratica clinica, vi sono molte ipotesi in atto, quale le quali le più interessanti sono:

– l’identificazione di un sottotipo di anticorpi antigliadina (proteina componente del glutine);

– la determinazione di alcune molecole proinfiammaroie (chemochine/citochine) secrete dalle cellule del sistema immunitario (monociti) stimolate con frazioni di grano o glutine;

– la valutazione dei valori sierici di zonulina, la quale indica lo stato di integrità della parete intestinale;

– la determinazione a livello tissutale dei depositi di IgA antitransglutaminasi nella biopsia duodenale;

– la densità dei mastociti nella sottomucosa intestinale.

Fonte:

“Prevenzione e terapia dietetica. Una guida pratica” Eugenio Del Toma Il Pensiero Scientifico Editore Seconda edizione febbraio 2020

Il latte materno è in grado di favorire il corretto sviluppo del bambino e proteggerlo da molte malattie.

Possiede tutti i nutrienti necessari nella prima fase della loro vita e contiene sostanze in grado di proteggerli da infezioni e a favorirne il corretto sviluppo. Il latte materno modifica nel tempo la sua formula adattandosi alle esigenze del bambino.

In più è di estrema praticità: è sempre pronto, sempre fresco e sempre alla temperatura giusta.

Si raccomanda alle mamme di allattare almeno fino al sesto mese salvo indicazioni specifiche del pediatra. L’allattamento può proseguire fino a quando la mamma e il bambino lo desiderano.

I vantaggi dell’allattamento

L’allattamento al seno è uno straordinario investimento nella salute del proprio piccolo. Grazie alle sue proprietà, infatti, il latte materno è in grado di favorire un corretto sviluppo del bambino e proteggerlo da molte malattie. In particolare, molti studi scientifici hanno dimostrato che l’allattamento al seno:

  • protegge contro le infezioni respiratorie e l’asma
  • contribuisce a una migliore conformazione della bocca
  • protegge contro le otiti acute
  • protegge contro la diarrea e le infezioni gastro-intestinali
  • riduce il rischio di diabete

Tuttavia, non è solo il bimbo a godere dei benefici dell’allattamento. Anche la mamma ha notevoli vantaggi nell’allattare al seno il proprio piccolo. L’allattamento, infatti:

  1. aiuta a perdere il peso accumulato durante la gravidanza
  2. riduce il rischio di sviluppare osteoporosi
  3. previene alcune forme di tumore al seno e all’ovaio
  4. è gratuito
  5. è pratico.

Allattare al seno: un bene collettivo

I benefici dell’allattamento esclusivo al seno sul corretto sviluppo del bambino e sulla prevenzione di numerose malattie sono da tempo riconosciuti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha per questo fatto dell’allattamento al seno uno degli obiettivi prioritari di salute pubblica a livello mondiale.

L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda l’allattamento al seno in maniera esclusiva fino al compimento del 6° mese di vita. E’ importante inoltre che il latte materno rimanga la scelta prioritaria anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino ai due anni di vita ed oltre, e comunque finché mamma e bambino lo desiderino.

La raccomandazione del programma “Ospedali amici dei bambini” (Baby friendly hospital initiative – BFHI), dell’Oms-Unicef considera fondamentale che le mamme siano informate sugli aspetti positivi connessi all’allattamento materno che:

  • rafforza e consolida il legame del neonato con la mamma (bonding)
  • fornisce al neonato un’alimentazione completa (benefici nutrizionali)
  • protegge il neonato dalle infezioni, anche grazie al ruolo svolto dal colostro
  • porta comprovati benefici alla salute della mamma

L’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per la protezione dell’infanzia, dal canto suo ricorda che la diffusione dell’allattamento al seno potrebbe evitare ogni anno nel mondo la morte di 1,4 milioni di bambini. Per questa ragione ha lanciato in tutto il mondo iniziative che promuovano l’allattamento sia negli ospedali sia nella comunità.

Fonte:

Ministero della Salute

Molto spesso il consumo di bevande alcoliche è legato a falsi miti che derivano dalla tradizione, alcuni sbagliati solo in parte, altri del tutto. Andiamo a sfatarne i principali:

  1. Non è vero che l’alcol aiuti la digestione; al contrario la rallenta e produce ipersecrezione gastrica con alterato svuotamento dello stomaco.
  2. Non è vero che il vino faccia buon sangue; è vero invece che un abuso di alcol può essere responsabile di varie forme di anemia e di un aumento dei grassi presenti nel sangue.
  3. Non è vero che le bevande alcoliche dissetino, ma, al contrario, disidratano; l’alcol richiede una maggiore quantità di acqua per il suo metabolismo, e in più aumenta le perdite di acqua attraverso le urine, in quanto provoca un blocco dell’ormone antidiuretico.
  4. Non è del tutto vero che l’alcol ci riscaldi. In realtà la vasodilatazione di cui è responsabile produce soltanto una momentanea e ingannevole sensazione di calore che in breve, però, comporta un ulteriore raffreddamento che, in un ambiente non riscaldato, aumenta il rischio di assideramento.
  5. Non è vero che l’alcol aiuti a riprendersi da uno shock: al contrario, provocando vasodilatazione periferica, determina un diminuito afflusso di sangue agli organi interni e soprattutto al cervello.
  6. Non è vero che l’alcol dia forza. Essendo un sedativo produce soltanto una diminuzione del senso di affaticamento e di dolore. Inoltre solo una parte delle calorie da alcol può essere utilizzata per il lavoro muscolare.

Fonte:

www.fao.org/3/a-as686o.pdf

La vitamina D è il principale ormone che regola l’omeostasi del calcio e il metabolismo della massa minerale ossea. La scoperta che diversi tessuti possano esprimere il recettore (VDR) per la vitamina D, ha aperto la strada a nuove ricerche legate ai suoi effetti biologici e molecolari. In particolare esistono evidenze sull’implicazione della vitamina D in ambiti molto importanti per lo sport e la performance atletica, quali la regolazione del recupero muscolare, della forza muscolare, del sistema immunitario, del processo infiammatorio, del sistema cardiovascolare, dell’equilibrio, della coordinazione.

Il metabolismo.

Il metabolismo della vitamina D è regolato dalla pelle, dal fegato e dai reni. L’esposizione al sole è fondamentale, dal momento che i raggi UVB inducono la produzione dell’80-90% della vitamina D, mentre l’assunzione alimentare rappresenta solo il 10-20% del totale. In caso di carenza, rilevabile tramite e gli esami del sangue e molto diffusa nelle popolazione, è necessario usare degli integratori di vitamina D, prescritti dal medico di base.

Possibili funzioni della vitamina D, rilevanti per la prestazione sportiva.

Recupero muscolare. In numerosi studi viene dimostrata una correlazione significativa fra la concentrazione sierica di vitamina D e il recupero della forza muscolare dopo esercizi intensi.

Forza muscolare. La vitamina D influisce sulla forza contrattile andando ad agire sulle fibre muscolari di tipo II. Tuttavia negli atleti professionisti, che hanno minimi margini di miglioramento, essendo già molto allenati, non si ha evidenza circa questo ruolo della vitamina D.

Struttura e funzionalità cardiaca. È dimostrato che la carenza di vitamina D sia legato all’aumento del rischio cardiovascolare. Tuttavia sono pochi e insufficienti gli studi che hanno indagato l’associazione fra la sua concentrazione e la funzionalità cardiaca negli atleti sani per poter stabilire una correlazione in ambito sportivo.

Massa minerale ossea e rischio di frattura. La carenza di vitamina D aumenta il rischio di sviluppare osteoporosi e il rischio di fratture ossee.

Sistema immunitario innato ed acquisito. Recenti studi mostrano che aumentati livelli di vitamina D correlano con numerosi benefici al sistema immunitario, inclusa la riduzione dell’incidenza di influenze e infezioni al tratto respiratorio superiore negli atleti.

Immunità e prevenzione delle infezioni negli atleti.

L’enzima 1-alfa-idrossilasi è responsabile dell’idrossilazione della forma inattiva della vitamina D alla sua forma biologicamente attiva. Il fatto che monociti, macrofagi, neutrofili, linfociti T e B contengano non solo i recettori VDR, ma anche l’1-alfa-idrossilasi, suggerisce che la vitamina D sia importante da un punto di vista funzionale per il sistema immunitario. In particolare, nel sistema immunitario la vitamina D regola l’espressione dei geni di un’ampia serie di peptidi antimicrobici (AMPs) che sono degli importanti regolatori dell’immunità innata. Inoltre essa svolge un effetto di modulazione sui linfociti T e B nell’immunità acquisita.

Le variazione nella concentrazione di vitamina D può influenzare il funzionamento del sistema immunitario anche negli atleti. Uno studio effettuato su atleti e personale militare mostra l’associazione negativa fra la concentrazione di vitamina D e le infezioni al tratto respiratorio superiore.

In un altro studio Halliday TM et al. hanno osservato che la concentrazione della vitamina durante l’inverno e la primavera era negativamente associata alla frequenza di infezioni acute alle vie aeree superiori negli atleti.

In una ricerca simile, effettuata su atleti di endurance, Cheng – Shiun HE et al. durante i 4 mesi hanno valutato l’incidenza e la gravità delle infezioni alle vie respiratorie e la concentrazione plasmatica di vitamina D. La percentuale di soggetti con uno stato ottimale di vitamina D che ha mostrato episodi di influenza (27%) è risultata significativamente inferiore rispetto alla percentuale di soggetti con carenza (67%). I giorni totali di durata dei sintomi influenzali e la gravità dei sintomi sono stati significativamente più elevati nel gruppo caratterizzato da carenza.

Una recente ricerca, effettuata da Cheng – Shiun HE et al. su atleti universitari ha testato le differenze presenti, dividendo in due gruppi il campione, in un gruppo trattato con vitamina D e uno trattato con placebo. È stata mostrata l’evidenza che la supplementazione per 14 settimane con 5000 IU di vitamina D al giorno durante gli allenamenti invernali ha significativamente aumentato la secrezione salivare di catelicidina e immunoglubulina A rispetto al gruppo di controllo trattato con i placebo. Recentemente è stato suggerito che diversi AMPs salivari, come le IgA e la catelicidina, potrebbero essere associate con l’incidenza di infezioni al tratto respiratorio superiore. Precedenti studi hanno mostrato una relazione inversamente proporzionale fra Iga salivari e la prevalenza di queste patologie, inoltre bassi valori di IgA salivari sono stati associati con un’aumentata incidenza di queste infezioni negli atleti.

Conclusioni.

Numerosi articoli presenti in letteratura mostrano la stretta correlazione tra concentrazioni plasmatiche di vitamina D e rischio di sviluppare infezioni negli atleti, compromettendo così la performance sportiva e la stagione di preparazione alle gare; inoltre evidenziano l’importanza di effettuare una supplementazione proprio per rimediare a eventuali carenze emerse dagli esami ematochimici. Tutti gli studi concludono affermando la necessità di ulteriori ricerche per valutare la correlazione fra vitamina D e sistema immunitario negli atleti e soprattutto per stabilire quale possa essere un’integrazione adeguata in termini quantitativi.

FONTI: Halfon M, Phan O, Teta D. Vitamin D: a review on its effects on muscle strength, the risk of fall, and frailty. BioMed Research International, 2015.

Shuler FD, Wingate MK, Hunter Moore G, Giangarra C. Sports health benefits of vitamin D. Sports Health 2012, vol. 6, no4.

Daniel J. Owens, Richard Allison, Graeme L. Close. Vitamin D and the Athlete: current perspectives and new challenges. Sports Med (2018) 48 (Suppl 1):S3–S16.

Larson-Meyer DE, Willis KS. Vitamin D and athletes. Curr Sports Med Rep. 
2010;9(4):220-226.

He CS, Aw Yong XH, Walsh NP, et al. Is there an optimal vitamin D status for immunity in athletes and military personnel? Exerc Immunol Rev. 2016;22:42–64.

Halliday TM, Peterson NJ, Thomas JJ, et al. Vitamin D status relative to diet, lifestyle, injury, and illness in college athletes. Med Sci Sports Exerc. 2011;43:335–43.

He CS, Handzlik M, Fraser WD, et al. Influence of vitamin D status on respiratory infection incidence and immune function during 4 months of winter training in endurance sport athletes. Exerc Immunol Rev. 2013;19:86–101.

He CS, Fraser WD, Tang J, et al. The effect of 14 weeks of vitamin D3 supplementation on antimicrobial peptides and proteins in athletes. J Sports Sci. 2016;34:67–74.

La fibromialgia (FM) è una sindrome complessa e multifattoriale, caratterizzata da dolore cronico diffuso e da numerose manifestazione fisiche e psicologiche, fra le quali stanchezza cronica, rigidità articolare, disturbi del sonno, depressione, ansia, disturbi cognitivi e gastrointestinali. I criteri diagnostici sono stati recentemente aggiornati dall’American College of Rheumatology e, in accordo con questi criteri, la FM è ora riconosciuta come una delle più comuni condizioni di dolore cronico e la seconda causa più comune di vista dal reumatologo, dopo l’osteoartrite.

Può insorgere a qualsiasi età ed è più comune nelle donne che negli uomini.

 Nonostante i progressi nel comprendere i meccanismi coinvolti, l’eziologia della FM è ancora sconosciuta e la fisiopatologia incerta. Diverse evidenze supportano l’ipotesi secondo la quale la FM rappresenti una “disfunzione del dolore centrale”, ovvero una sensibilizzazione del sistema nervoso con uno squilibrio dei neurotrasmettitori implicati nella percezione del dolore. Inoltre, evidenze recenti suggeriscono che un basso grado di infiammazione sistemica, una predisposizione allo stato pro-ossidativo e un’insufficiente capacità antiossidante, potrebbero contribuire allo sviluppo nella malattia, riducendo la soglia del dolore e inducendo l’affaticabilità e i disturbi del tono dell’umore.

La gestione della FM richiede un approccio multidisciplinare, combinando sia la strategia farmacologica, sia l’approccio non-farmacologico. Per quanto riguarda il trattamento non-farmacologico, crescenti evidenze suggeriscono un potenziale ruolo benefico dell’intervento nutrizionale.

Fra i diversi approcci dietetici studiati, la dieta senza glutine sembra essere uno dei più efficaci. I pazienti con FM spesso hanno sintomi gastrointestinali, che si sovrappongono significativamente con vari disturbi legati al glutine, come nausea, dolori addominali, affaticabilità, stanchezza, dolore cronico e disturbi dell’umore, suggerendo una possibile coesistenza in questi pazienti della sensibilità al glutine non celiaca. In numerosi studi, la dieta senza glutine ha rilevato un complessivo miglioramento dei sintomi, come il dolore cronico diffuso, l’affaticabilità, i disturbi del sonno e in generale della qualità di vita e delle funzioni cognitive.

Esistono inoltre altre tipologie di interventi dietetici che potrebbero dare dei benefici, come ad esempio una dieta ricca di antiossidanti, una dieta dimagrante volta al reset del quadro metabolico, una dieta mediterranea, una dieta ad esclusione di eccitotossine, una dieta per migliorare la disbiosi intestinale, tutte da valutare da paziente a paziente in base alla sintomatologia e alla risposta individuale.

Fonte:

G. Pagliai, I. Giangrandi, M. Dinu, F. Sofi, B. Colombini – Nutritional Interventions in the management of Fibromyalgia Syndrome. – Nutrients. 2020 Aug

Qual è il primo concetto che ci affiora alla mente al suono della parola “dieta”?

Un’insalatina scondita come unica solitaria ospite del nostro piatto? Una lotta continua con la bilancia di casa? Un periodo di sofferenza, si spera il più breve possibile, in cui stringere i denti per arrivare ad un obiettivo prefissato, per poi tornare alle nostre care (e forse non tanto sane) abitudini?

Niente di più sbagliato!!

La parola DIETA deriva dal greco “diaita” (δίαιτα) e significa “stile di vita”, “modo di vivere”. Essa ha dunque un’accezione molto differente da quella comunemente utilizzata presso la nostra cultura. Le si dà spesso una connotazione negativa, viene associata al concetto di costrizione, privazione, mentre sarebbe buona cosa iniziare ad attribuirle un significato più coerente con le sue origini etimologiche.

Con il termine dieta possiamo, dunque, indicare tutto l’insieme delle abitudini (alimentari) che ogni soggetto ha acquisito nel corso degli anni, sulla base di innumerevoli influenze: culturali, economiche, famigliari, sociali.

Certamente esistono diete più o meno corrette, alcune delle quali rischiano di andare ad intaccare il nostro stato di salute. Sarebbe quindi importante cercare di preservare il nostro benessere seguendo una dieta (stile di vita!) sana:

  • imparando a mangiare meglio, non attraverso le tante e assai squilibrate diete  attualmente in voga  o tramite “diete fai da te”, ma attraverso la riscoperta dei salutari principi di un’alimentazione equilibrata e completa;
  • abituando il proprio organismo ad avere uno stile di vita più attivo, che non vuol dire per forza iscriversi in un centro sportivo, può semplicemente significare non trascorre tutto il proprio tempo libero davanti al televisore, non utilizzare l’automobile per brevi spostamenti, riscoprendo invece il piacere di una salutare camminata.

Non viene richiesto un cambiamento radicale, semplicemente imparare pian piano, passo a passo, a volere più bene a se stessi, attraverso piccoli accorgimenti che ci consentono di vivere meglio e che attraverso l’abitudine diventano poi parte della nostra routine, del nostro modo di essere, del nostro modo di vivere, della nostra dieta appunto!!