Le etichette nutrizionali sono un utile strumento per aumentare la consapevolezza del consumatore al momento dell’acquisto di prodotti alimentari. Cosa dobbiamo leggere con attenzione? 

La DICHIARAZIONE NUTRIZIONALE è obbligatoria per tutti i prodotti preconfezionati. I valori vengono espressi per 100g o 100ml ed eventualmente per porzione di consumo.

Devono essere indicati obbligatoriamente:

  • il valore energetico, ovvero l’apporto di kcal (o kj) che l’alimento fornisce al nostro organismo;
  • la quantità di proteine, la cui principale funzione nel nostro corpo è quella plastica, di costruzione delle nostre cellule;
  • la quantità di carboidrati totali, che rappresentano un macronutriente fondamentale in grado di fornirci energia;
  • la quantità degli zuccheri semplici, che costituiscono una parte dei carboidrati totali e che non devono essere assunti in quantità elevate;
  • la quantità dei grassi totali, i quali hanno un’importante funzione energetica, di regolazione ormonale, di isolamento corporeo;
  • la quantità dei grassi saturi, che rappresentano una parte dei totali, che deve essere assunta in proporzioni limitate perché possono essere dannosi per la nostra salute;
  • il contenuto di sodio, microelemento fondamentale per il nostro organismo, che tuttavia non deve essere consumato in quantità eccessive così da prevenire l’ipertensione.

La dichiarazione nutrizionale può essere integrata, su base facoltativa, con l’indicazione della quantità di uno o più dei seguenti elementi:

  • acidi grassi monoinsaturi, parte dei grassi totali non dannosi per il nostro organismo;
  • acidi grassi polinsaturi, di fondamentale importanza per il nostro organismo, in grado di prevenire le patologie cardiovascolari;
  • polioli, molecole artificiali con potere dolcificante, utilizzati in sostituzione degli zuccheri semplici;
  • amido, parte preponderante dei carboidrati complessi;
  • fibre, componente non digeribile per il nostro organismo, ma in grado di svolgere importanti funzioni, quali aumentare il senso di sazietà, velocizzare il transito intestinale;
  • sali minerali e vitamine, qualora presenti in quantità significative.

Sull’etichetta nutrizionale deve essere presente l’ELENCO DEGLI INGREDIENTI. Esso riporta tutti gli ingredienti dell’alimento, in ordine decrescente di peso, così come registrati al momento della loro utilizzazione nella fabbricazione dell’alimento, purché ancora presenti nel prodotto finito, anche se in forma modificata.

Deve anche essere indicato l’ELENCO DELLE SOSTANZE ALLERGENICHE. Infatti, la presenza in un alimento di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze deve sempre venire segnalata, anche quando essa sia solo residuale o in tracce o in forma trasformata.

Il TERMINE MINIMO DI CONSERVAZIONE viene espresso con la dicitura: “da consumarsi preferibilmente entro…” . Indica la data di preferibile consumo fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue specifiche proprietà in adeguate condizioni di conservazione.

La DATA DI SCADENZA si riferisce ad alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico che potrebbero pertanto costituire, dopo un breve periodo, un pericolo immediato per la salute umana e presenta l’indicazione: “da consumarsi entro…”. Indica il termine perentorio entro il quale il prodotto deve essere consumato.

Troppo spesso quando dobbiamo consumare un prodotto facciamo attenzione solo ed esclusivamente al contenuto calorico degli alimenti, a discapito del valore nutrizionale di ciò che introduciamo nel nostro organismo. Vi lascio qualche utile consiglio pratico per quando leggiamo la tabella nutrizionale:

NON LIMITIAMOCI A LEGGERE SOLO LE CALORIE

DISTINGUIAMO FRA CARBOIDRATI COMPLESSI, FONDAMENTALI FONTE DI ENERGIA E ZUCCHERI SEMPLICI, IL CUI CONSUMO E’ INVECE DA LIMITARE

FACCIAMO ATTENZIONE AI CLAIMS PRESENTI SULLE CONFEZIONI: I GRASSI NON SONO TUTTI UGUALI! NON CI BASTI LEGGERE “A RIDOTTO CONTENUTO DI GRASSI”, “BASSO CONTENUTO DI COLESTEROLO”, SOFFERMIAMOCI SOPRATTUTTO SULLA PRESENZA E SULLA QUANTITA’ DI GRASSI SATURI E DI GRASSI TRANS, PARTICOLARMENTE DANNOSI PER LA NOSTRA SALUTE

Quando invece ci soffermiamo sull’elenco degli ingredienti, ricordiamoci che:

– GLI INGREDIENTI SONO INDICATI IN ORDINE DECRESCENTE, FACCIAMO DUNQUE ATTENZIONE AI PRIMI COMPONENTI DELL’ELENCO!

– IL TERMINE “OLIO/GRASSO DI ORIGINE VEGETALE” MOLTO SPESSO INDICA L’UTILIZZO DI OLI RICCHI DI GRASSI SATURI

– DI SOVENTE IL CONTENUTO DI ZUCCHERI SEMPLICI VIENE CAMUFFATO CON ALTRI TERMINI, QUALI “SUCCO DI MELA”, “ZUCCHERO D’UVA”, “SCIROPPO DI GLUCOSIO/FRUTTOSIO”, “MIELE”, RIMANDANDOCI COSI’ AD UN’IDEA DI INGREDIENTI NATURALI, CHE PERO’ NELLA SOSTANZA HANNO LO STESSO EFFETTO SUL NOSTRO ORGANISMO

Quindi, concludendo, a volte, può essere meglio scegliere un alimento con più calorie, ma di migliore qualità!!

Fonte:

www.fao.org/3/a-as686o.pdf

L’allergia al nichel è una reazione di ipersensibilità data da meccanismi dose-dipendenti che coinvolgono il sistema immunitario.

Il nichel è un oligoelemento che si trova nel suolo, nell’acqua, nell’aria, negli alimenti e viene utilizzato per produrre utensili in acciaio inox, gioielli, monete, tinture, detersivi, cosmetici …

Si tratta di un’ipersensibilità di tipo ritardato che si manifesta in soggetti predisposti e che prevede:

– una fase afferente o di induzione, in cui non si manifestano sintomi, ma solo la sensibilizzazione;

– una fase efferente o di elicitazione, in cui si hanno sintomi e segni.

La diagnosi di allergia al nichel viene fatta in seguito a positività al patch test.

Le manifestazioni cliniche possono essere di tipo cutaneo, con dermatite allergica da contatto (DAC, ufficialmente riconosciuta) o di tipo sistemico, con sindrome da allergia sistemica al nichel (SNAS, non ancora riconosciuta).

La DAC presenta un eczema zonale confinato alle sedi cutanee a stretto contatto con gli oggetti rilascianti nichel.

La SNAS presenta sintomi cutanei (con eruzioni secondarie, in zone non a diretto contatto con l’agente causale) o sintomi extracutanei, di tipo gastrointestinale (reflusso gastro esofageo, sintomi da colon irritabile, costipazione, nausea, gonfiore), respiratori, neurologici.

In caso di patch test positivo e soli sintomi da DAC, le evidenze scientifiche mostrano che la dieta a ridotto contenuto di nichel non sia necessaria; mentre in caso di patch test positivo e sintomi da SNAS, alcuni studi mostrano che una dieta a ridotto contenuto di nichel possa dare dei benefici.

Definire una dieta a ridotto contenuto di nichel è molto difficile per diverse ragioni:

– non vi sono delle soglie ufficiali in mg/kg in grado di definire in modo univoco se gli alimenti siano a basso, medio o alto contenuto di nichel, motivo per cui si trovano tante liste di alimenti, spesso non concordanti;

– il contenuto di nichel negli alimenti varia in base al terreno di coltivazione, alla stagione, alla parte di alimento consumata;

– non si conoscono le soglie di tolleranza individuali di assunzione, al di sopra delle quali si manifestano i sintomi;

– esiste una variabilità individuale di assorbimento a livello dell’intestino (dall’1 al 10%) in base a diversi fattori (status della parete intestinale, composizione della dieta, assetto marziale, capacità detossificante dell’organismo, reattività del sistema immunitario).

L’intervento nutrizionale prevede una fase di evitamento di 15-30 giorni in base alla severità dei sintomi e disintossicazione dal nichel, seguita da una fase di riparazione (di cute e intestino) e di parziale e graduale reintroduzione.

Globalmente oltre un miliardo di persone soffre di ipertensione arteriosa. L’ipertensione diventa progressivamente più comune con l’avanzare dell’età, con una prevalenza superiore al 60% nelle persone di età superiore ai 60 anni. Al di là dei fenomeni più strettamente legati all’invecchiamento, con il passare degli anni la popolazione tende ad adottare stili di vita più sedentari e ad aumentare il peso corporeo, fattori che facilitano l’aumento della pressione arteriosa.

Le corrette scelte nello stile di vita possono prevenire o ritardare l’insorgenza dell’ipertensione arteriosa. Inoltre possono essere sufficienti per ritardare o addirittura ridurre la necessità della terapia farmacologica nei pazienti con ipertensione di grado I e possono aumentare gli effetti della terapia farmacologica antipertensiva.

Le misure raccomandate per la riduzione della pressione sanguigna sono:

limitazione del sale;

limitazione del consumo di bevande alcoliche;

buon consumo di frutta e verdura;

calo ponderale se necessario;

mantenimento di un peso corporeo ideale;

astensione dal fumo di sigaretta;

attività fisica regolare.

Rimane tuttavia molto difficile modificare in maniera duratura lo stile di vita, motivo per cui l’attività di counseling dietetico è fondamentale nel trattamento dell’ipertensione arteriosa.

Fonte:

“Prevenzione e terapia dietetica. Una guida pratica” Eugenio Del Toma Il Pensiero Scientifico Editore Seconda edizione febbraio 2020

Si tratta di una sindrome con un quadro sintomatologico sia fisico che psichico e che può colpire fino al 75% delle donne.

Sul piano fisico si può avere: tensione al seno, gonfiore addominale, ritenzione idrica, edemi, acne.

Sul piano psichico si può assistere a: depressione, ansia, confusione, isolamento sociale, peggioramento della qualità del sonno.

Un altro sintomo che si manifesta molto si frequente è il desiderio incontrollato di cibo, più spesso di carboidrati semplici, chiamato “food craving”. Fra le molteplici cause troviamo una minor tolleranza glucidica, un desiderio inconscio di triptofano (precursore della serotonina), un lieve aumento del metabolismo basale, una diminuzione degli estrogeni. La conseguenza è che si introducano più zuccheri, con conseguente rallentamento del calo di peso nel caso in cui si sia a dieta e un ulteriore peggioramento della sindrome premestruale per maggior infiammazione.

I consigli nutrizionali in caso di craving di carboidrati sono i seguenti:

frazionare l’assunzione di carboidrati durante tutto l’arco della giornata, consumandone piccole porzioni e a basso carico glicemico;

aumentare il senso di sazietà con verdura, legumi, cereali integrali, fonti di proteine magre;

concedersi un piccolo “extra” quotidiano, limitatamente ai giorni cruciali.

Fonte:

M Rad, MT Sabzevary, ZM Dehnavi – Factors associated with premenstrual syndrome in female high schoo students – J Educ Health Promot 2018 May 3;7:64

Con l’arrivo della menopausa circa il 75% delle donne inizia a manifestare le famigerate vampate. Si tratta di sensazioni di forte calore con conseguente sudorazione e aumento dei battiti cardiaci. Le cause sono da ricercare nel cambiamento dell’assetto ormonale (calo degli estrogeni), nella tendenza a sviluppare ipertensione e nell’azione del cortisolo.

Esistono dei fattori sui quali è possibile intervenire per un miglioramento dei sintomi e una prevenzione delle vampate:

attività fisica moderata;

equilibrio nell’introduzione di grassi omega 3 e omega 6;

eliminazione delle sostanza vasocostrittrici, come caffeina, alcool, spezie, nicotina, liquirizia;

dieta per controllo della pressione;

assunzione di alimenti funzionali anti-ipertensivi (semi di zucca, di canapa, di lino, di chia, infuso di ortica/rosmarino, tè verde, tulsi).

Fonte:

L Hoga, K Rodolpho, B Goncalves, B Quirino – Women’s experience of menopause: a systematic review of qualitative evidence – JBI Database System Reb Omplement Rep 2015 Sep

La psoriasi è una malattia autoimmune a predisposizione genetica. In Italia coinvolge circa 3 milioni di persone, sia uomini che donne con due picchi di insorgenza, fra i 20-30 anni e fra i 50-60 anni. Esistono differenti tipologie di psoriasi:

psoriasi volgare, che presenta chiazze eritematosi desquamanti spesso a livello di gomiti, ginocchia, zona sacrale, cuoio capelluto;

psoriasi inversa, che è caratterizzata da sovrainfezione da Candida e si manifesta in corrispondenza delle pieghe anatomiche;

psoriasi guttata, che è correlata alla sovrainfezione da Streptococco e si manifesta a gocce più chiare e generalmente con desquamazione minima;

psoriasi pustolosa, che presenta pustole a livello palmo-plantare o diffuse;

psoriasi eritrodermica, che coinvolge tutto il corpo ed è spesso associata a febbre.

Nel 5-30% dei casi la malattia cutanea può evolvere in artrite psoriasica, una patologia infiammatoria cronica delle articolazioni.

L’intervento deve essere multidiscliplinare, prevendendo la collaborazione di diverse possibili figure, quali medico di base, dermatologo, reumatologo, endocrinologo, gastroenterologo e nutrizionista.

Il Metodo Apollo è un approccio di medicina funzionale multidisciplinare, che alla terapia farmacologica, affianca:

– un protocollo nutrizionale;

– un protocollo per contrastare le infezioni batteriche, virali e fungine;

– un protocollo di integrazione specifico.

Il protocollo nutrizionale prevede l’eliminazione di tutte quelle sostanze in grado di esercitare uno stimolo immunogeno, ovvero uno stimolo potenzialmente innocuo che però sollecita l’intervento del sistema immunitario.

Ad esempio alcuni alimenti sono in grado di compromettere l’integrità della barriera intestinale, che in questo modo consente l’assimilazione di sostanze nocive che aumentano lo stato infiammatorio del corpo, altri ancora sono potenti liberatori di istamina, andando a stimolare la reazione del sistema immunitario.

Come in tutti gli interventi nutrizionali in cui è necessario eliminare alcune categorie di alimenti è importante essere seguiti da un professionista per evitare stati carenziali e garantire una maggiore aderenza alla dieta.

Fonti:

  1. Debbaneh M, Millsop JW, Bhatia BK, Koo J, Liao W. Diet and psoriasis, part I: Impact of weight loss interventions. J Am Acad Derma- tol. 2014;71(1):133–140. doi:10.1016/j.jaad.2014.02.012
  2. Bhatia BK, Millsop JW, Debbaneh M, Koo J, Linos E, Liao W. Diet and psoriasis, part II: celiac disease and role of a gluten-free diet. J Am Acad Dermatol. 2014;71(2):350–358. doi:10.1016/j.jaad.2014.03.017
  3. Barrea L, Nappi F, Di Somma C, et al. Environmental Risk Factors in Psoriasis: The Point of View of the Nutritionist. Int J Environ Res Public Health. 2016;13(5):743. Published 2016 Jul 22. doi:10.3390/ijerph13070743
  4. Singh S, Young P, Armstrong AW. Relationship between psoriasis and metabolic syndrome: a systematic review. G Ital Dermatol Venereol 2016 December;151(6):663-77

Quante volte abbiamo sentito dire che perdere liquidi fa dimagrire, che bisogna bere acque oligominerali per contrastare gli inestetismi della cellulite, che bere durante i pasti è sconsigliato? Ma saranno vere tutte queste affermazioni? Andiamo a scoprirlo insieme:

  1. Non è vero che l’acqua vada bevuta al di fuori dei pasti. Al limite se si eccede nella quantità si allungheranno di un poco i tempi della digestione (per una diluizione dei succhi gastrici), ma un’adeguata quantità di acqua (600-700ml) è utile per favorire i processi digestivi, poiché migliora la consistenza degli alimenti ingeriti.
  2. Non è vero che l’acqua faccia ingrassare. L’acqua non contiene calorie, e le variazioni di peso dovute all’ingestione o all’eliminazione dell’acqua sono momentanee e ingannevoli.
  3. Non è vero che bere molta acqua provochi ritenzione idrica. La ritenzione idrica dipende dal sale e da altre sostanze contenute nei cibi che consumiamo che dalla quantità di acqua che ingeriamo.
  4. Non è vero che occorra preferire le acque oligominerali rispetto alle acque maggiormente mineralizzate per mantenere la linea o “curare la cellulite”. I sali contenuti nell’acqua favoriscono l’eliminazione di quelli contenuti in eccesso nell’organismo. Nei bambini, in particolare, sarebbe bene non utilizzare le acque oligominerali in modo esclusivo, ma bisognerebbe alternarle con quelle più ricche di minerali, in quanto una diuresi eccessiva può impoverire di sali minerali un organismo in crescita.
  5. Non è vero che il calcio presente nell’acqua non sia assorbito dal nostro organismo. Al contrario la capacità dell’intestino umano di assorbire il calcio contenuto nelle acque (spesso in quantità consistente) è considerata addirittura simile a quella relativa al calcio contenuto negli alimenti.
  6. Non è vero che il calcio presente nell’acqua favorisca la formazione di calcoli renali. Le persone predisposte a formare calcoli renali devono bere abbondantemente e ripetutamente nel corso della giornata, senza temere che il calcio contenuto nell’acqua possa favorire la formazione dei calcoli stessi: anzi è stato dimostrato che anche le acque minerali ricche di calcio possono costituire al riguardo un fattore protettivo.
  7. Non è vero che l’acqua gasata faccia male. Né l’acqua naturalmente gasata, né quella addizionata con gas (normalmente anidride carbonica) creano problemi alla nostra salute, anzi l’anidride carbonica migliora la conservabilità del prodotto. Solo quando la quantità di acqua è molto elevata si possono avere problemi in individui che già soffrono di disturbi gastrici e/o intestinali.
  8. Non è vero che le saune facciano dimagrire. Le saune fanno semplicemente eliminare sudore. Lo stesso organismo provvederà a reintegrare prontamente le perdite, cosicché nell’arco di poche ore il peso tornerà ad essere esattamente quello di prima.  

Fonte:

www.fao.org/3/a-as686o.pdf

Dagli studi in letteratura è sempre più evidente come le abitudini alimentari dei genitori influiscano su quelle dei figli, in particolare dagli studi presi in esame emerge che:

  • I bambini assumono come modelli sia le abitudini alimentari dei genitori che la loro relazione con il cibo e l’eventuale scarsa soddisfazione per il proprio corpo.
  • Vi è elevata associazione tra intake di alimenti (ed in particolare snack) ed abitudini di vita tra genitori e figli.
  • Un ruolo dei genitori di modello positivo può essere più efficace, per modificare dei comportamenti, piuttosto che il controllo sull’apporto di alimenti.
  • Il comportamento alimentare dei genitori è la più importante fonte di informazioni per i bambini.
  • L’assunzione da parte dei genitori di frutta e verdura è predittiva dell’intake di questi alimenti dei loro figli.                         
  • Il consumo di frutta e verdura è più elevato in bambini ed adolescenti che mangiano con i genitori.     

Fonte:

pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15140846/

discovery.ucl.ac.uk/id/eprint/1480/1/241t.pdf

Il pesce offre un importante apporto nutrizionale, fornendo proteine, acidi grassi (come per esempio gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga OMEGA 3), talune vitamine e minerali.

Il consumo di pesce è benefico per la salute del sistema cardiovascolare e può avere un’influenza sullo sviluppo del feto. Infatti, in particolare per l’apporto di omega3, spesso si consigliano, nelle raccomandazioni nutrizionali, due o tre porzioni di pesce alla settimana.


Tuttavia proprio per la sua posizione nella catena alimentare il pesce, soprattutto se grande predatore, può concentrare alcune sostanze presenti nell’ambiente quali il metilmercurio.
Per tal motivo l’autorità Europea per la sicurezza alimentare su incarico del Parlamento europeo ha effettuato una valutazione su eventuali rischi per la salute legali al consumo di pesce.

In considerazione di quanto detto la Commissione Europea, a maggior tutela delle fasce di popolazione più sensibili all’esposizione di metilmercurio, come bambini e donne in gravidanza, ha diffuso una specifica comunicazione nella quale si consiglia il consumo di una porzione settimanale non superiore a 100 gr per quanto riguarda grandi pesci predatori (come pescespada, luccio, merluzzo, marlin e squaliformi come verdesca, smeriglio, palombo) e non più di due porzioni settimanali di tonno.

Il consumo di tonno in scatola è considerato più sicuro, perché i pesci utilizzati sono generalmente di più piccole dimensioni e quindi più giovani: il loro contenuto di mercurio è limitato.

Tale raccomandazione implementa il livello di protezione del consumatore già garantito dai controlli ufficiali che assicurano l’eliminazione del mercato dei prodotti della pesca che superano i livelli di metilmercurio definiti dalla normativa comunitaria.

Fonte:

www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=1587

efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2015.3982

Si tratta di una disfunzione cronica delle pareti pelviche che comporta dolorosa e frequente minzione. A differenza della cistite batterica, non origina da base infettiva.

È una patologia che deve trattata a livello multidisciplinare.

Per quanto riguarda il trattamento dietoterapico:

– si attua il protocollo nutrizionale utilizzato in caso di patologie autoimmuni (una dieta focalizzata sulla riduzione dell’infiammazione, sul benessere dell’intestino e sul supporto al sistema immunitario);

– si eliminano gli alimenti istamino-correlati;

si evitano alcuni alimenti che sembrano fare da trigger (fattori scatenanti): pomodori, soia, spezie, agrumi, bevande gassate, caffè, tè, alimenti contenenti acido citrico o vitamina C.

Fonte:

LM French, N Bhambore – Interstitial cystitis/painful bladder syndrome – Am Fam Physician 2011 May 15;83(10):1175-81